Thursday 1 November 2012

Marco Macina: da grande promessa a semplice meteora

Roberto Mancini, il tecnico del Manchester City, in un'intervista parla del talento azzurro Mario Balotelli citando Marco Macina: "Tra i 16 ed i 20 anni ho fatto più cazzate di Mario. Avevamo però il pudore di nasconderci alla gente o forse eravamo semplicemente più furbi. Ho avuto compagni che mostravano gli stessi suoi atteggiamenti, uno su tutti Marco Macina".


Storia di Marco Macina, un talento purissimo che stregò Nils Liedholm. Gli osservatori che andavano a vederlo lo consideravano più forte di Roberto Mancini con il quale, ai tempi del Bologna, condivideva la stessa camera da letto. Era un'ala ambidestra, veloce, talentuosa, dribbling fulminante.

Un genio ribelle del pallone che si perse per strada, smettendo di giocare a soli 24 anni, nell'estate del 1988. Oggi Macina non gioca neppure le partitelle con gli amici. Spende le giornate a rimuginare su quello che poteva essere e non é stato. Non ha più avuto contatti con il mondo del calcio.

Marco Macina è pieno di etichette. Scappava dai ritiri. Gli piacevano le discoteche. Ha rifiutato delle buone offerte. Lui non si nasconde: "Ho commesso degli errori, trovatemi un giovane calciatore che non vada in discoteca la domenica sera e che non cerchi di agganciare le ragazze. Ma su altre faccende hanno esagerato, io certe cose non le ho mai fatte. Ho pagato la ribalta precoce, non capivo quanto mi stava accadendo. Avrei avuto bisogno di un presidente - padre, come è stato Paolo Mantovani per Mancini". Ne avrebbe avuto necessità, non la trovò.

Finita la gavetta a Bologna, Macina viene spedito in B: una stagione ad Arezzo, una a Parma. Due campionati, 37 partite e 4 gol che gli valgono i complimenti di un giovane allenatore, Arrigo Sacchi, che lo avrebbe voluto allenare. Nell'estate '85 il trasferimento al Milan. Era il momento sbagliato: il padrone del Milan è Giussy Farina e la società è in dissesto. Per quadrare i conti Farina apre al pubblico il ristorante e il bar di Milanello. Banchetti nuziali con vista sugli allenamenti. Liedholm, il tecnico, garantisce competenza, affina quel che c'è da migliorare nei piedi di Macina. Ma il ragazzo avrebbe bisogno di altro, di qualcuno che gli spiegasse che certe occasioni arrivano una volta sola. I ricordi sono malinconici: "Vivevo a Milano, in appartamento, assieme ad altri ragazzi. La mattina andavamo in piazzale Lotto dove ci aspettava il pullman del Milan in partenza per Milanello". Giovani vite in balia delle correnti metropolitane, erano gli anni della Milano da bere. Macina accumula 5 presenze, Liedholm lo usa come prototipo di un calcio spregiudicato. Una domenica Macina si mette al servizio di altre tre punte: Paolo Rossi, Mark Hateley e Pietro Paolo Virdis. Qualcuno commenta: "Però, quel Macina". Però, nulla.

Nel marzo '86 Berlusconi diventa proprietario del Milan e Macina è un nome già consumato. Lo mandano a Reggio Emilia, in prestito. Il messaggio è chiaro: o si confermerà ad alti livelli o in caso contrario, fatti suoi. Dura è la C1 per chi ha vissuto l'atmosfera di San Siro. Macina gioca 23 partite, segna 4 gol e conosce Nardino Previdi, direttore sportivo. Diventarono amici e pensava di aver trovato la persona sulla quale contare. Ma il ragazzo pensava. Estate '87: Macina, vincolato al Milan da un contratto fino al 1988, passa all'Ancona. Altro giro di C1. Stavolta ci sono complicazioni. Una domenica, a Ospitaletto, sente pizzicare il ginocchio destro. Lo visitano, dicono che deve essere il menisco e che nel caso si interverrà. Riprende ad allenarsi e il dolore aumenta. Esami più approfonditi stabiliscono la verità: è saltato un legamento. Operazione complicata, lunga convalescenza. Fa in tempo a giocare le ultime partite della stagione, le ultime partite da professionista della sua vita. Ma non lo sapeva ancora. Pensava che in estate avrebbe ricominciato. Pensava male. Il contratto col Milan era scaduto, l'Ancona non gli propose nulla. Macina chiama Previdi: si aspetta un consiglio, un aiuto. Ricevette solo buone parole.

Macina va in ritiro al Ciocco, con i calciatori disoccupati. Qualche telefonata arriva, ma non è mai quella giusta. Questioni di soldi e di categorie. Macina ebbe un'idea: stare fermo un anno per svincolarsi e diventare padrone del proprio cartellino, libero di decidere del proprio futuro. Detto e fatto. Ma nell'estate 1989 Marco non trova una società disposta ad accoglierlo. Si rivolge a diversi procuratori. Tante promesse ma niente di concreto. Il calcio che conta non poteva tollerare che uno come lui rientrasse a costo zero, senza un bel trasferimento di denaro. Dopo quegli anni di ripicche e amarezze, ci sono state alcuni incontri con la nazionale di San Marino e niente più.

Marco Macina a 16 anni era uno dei migliori se non il migliore talento italiano ed a 24 anni era calcisticamente già finito. Un po' si è buttato via e un po' l'hanno emarginato per fargli pagare l'orgoglio di essere stato Marco Macina, quello più bravo di Roberto Mancini. Ma in questa triste storia non ha perso soltanto lui ma tutto il mondo del pallone ha perso qualcosa di calcisticamente magico e poetico.

1 comment:

  1. Io ho avuto la grande fortuna di giocarci insieme per un anno ammirando il suo grande talento. Ho visto fare in allenamento cose da fantascienza che solo pochi giocatori oggi al mondo riescono a fare, una velocità di gambe e di dribbling che ricorda, anche se fisicamente molto diversi, Leon Messi... Un vero peccato aver perso tutti noi almeno 10 anni di sue magie!! Un caro saluto al mitico e scanzonato Marco che mi ha fatto tanto ridere per la sua vivacità anche fuori dal campo.. Grazie!!! Ciao, Roberto P.

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