Negli anni Ottanta nelle giovanili
dell’Inter spiccava il nome di Massimo Ciocci. Centravanti rapido ed
opportunista prometteva bene nei campi da gioco, segnando tanti gol ma non
aveva voglia di andare a scuola. La dirigenza per evitare che si trastullasse
nei bar attorno a San Babila, lo voleva ogni mattina in sede dandogli in mano
pacchi e buste da consegnare in giro per la città. Non poteva usare il motorino,
troppo rischioso e si muoveva con i mezzi pubblici. Nasceva così il suo primo
soprannome: Il Pony Express del Gol. I pony, postini privati in vespa,
rappresentavano una delle novità dell’epoca milanese di quegli anni.
Il ragazzo ne aveva di talento e nel 1986 vinse da
protagonista con la squadra Primavera il Torneo di Viareggio. Gli viene
affibbiato il suo secondo soprannome in
quel periodo delle giovanili: il “piccolo Buitre”, perché assomigliava
ad Emilio Butragueño, attaccante spagnolo del Real Madrid. Quell’anno arrivava
anche il primo assaggio di calcio professionistico, perché Mario Corso,
promosso in prima squadra dopo la cacciata di Castagner, fa esordire il suo ex
allievo in un Inter-Roma di Coppa Italia. L’anno dopo in panchina arriva
Giovanni Trapattoni, che rimase impressionato dalle doti del ragazzino e decise
di lanciarlo facendolo esordire in serie A contro il Napoli di Maradona che
stava per vincere il suo primo Scudetto. Non passava neanche un mese e arrivava
anche la prima rete ufficiale a San Siro contro la Fiorentina di Roberto Baggio
e Ciocci a venti dalla fine regala il successo ai suoi con un diagonale
mancino.
Trapattoni crede in lui, ma è convinto che il ragazzo
deve farsi le ossa e accumulare esperienza. Lo manda in prestito prima in serie
B al Padova, successivamente ad Ancona, dove esplode e sigla 18 reti,
guadagnandosi la chiamata dal Cesena in Serie A di Marcello Lippi, futuro
Campione del Mondo. È il 1990/91 e Ciocci sara' uno dei grandi protagonisti
della stagione, siglando 13 reti. Il
"Piccolo Avvoltoio" era pronto per il ritorno a Milano.
Ad attenderlo in nerazzurro però non c’era più il suo
mentore Giovanni Trapattoni, bensì Corrado Orrico, uomo rivelazione della Serie
B con la Lucchese. L’inizio sembra essere positivo, con Ciocci che alla prima
giornata salva l’Inter dal ko casalingo con il Foggia dei miracoli di Zeman. Ma
poche settimane dopo il ragazzo fallirà una colossale palla gol nel ritorno di
Coppa Uefa con il Boavista, un errore che costerà all’Inter il passaggio del
turno. In pochi se lo aspettano, ma è quello l’inizio della fine.
Riuscì a totalizzare 87 presenze con la maglia nerazzurra,
realizzando 10 reti. Fu frenato da diversi infortuni alle ginocchia. I tifosi
inizieranno a beccarlo accusandolo di allenarsi poco e male.
L’anno dopo sarà costretto a fare le valigie ed in provincia
Ciocci troverà la sua dimensione naturale, regalando buoni scampoli al Genoa e
al Padova in serie A, prima di iniziare a girovagare per i campi delle serie
inferiori fino al suo ritiro a 33 anni.
La carriera ha mantenuto meno di quanto promettesse, ha
avuto la chance della grande squadra e non l’ha sfruttata al meglio. Difficile
che a Milano ti ridiano la seconda possibilità. All’Inter deve comunque tanto.
I problemi sono altri, nel 2004 non stava bene, e dopo accertamenti ha scoperto
di avere un tumore all’intestino. Operazione e cicli di chemioterapia. Ha avuto
paura ed ha riflettuto.
Come capita a tutti
coloro che sono stati colpiti dal cancro, l’esistenza di Ciocci è scandita dai
controlli clinici. Quando seppe della diagnosi, Massimo voleva sapere dai
medici se potesse esserci una relazione tra il tumore e la sua attività
sportiva. Risposta negativa, certe malattie possono colpire tutti. Massimo non
si è mai dopato. Non consapevolmente perchè su certe cose che gli
somministravano lui non sapeva, era giovane e si fidava dei medici.
Ciocci è ritornato a casa, nelle Marche
ha aperto una tabaccheria e fa l’allenatore. Il Pony Express del goal ha vissuto esplosioni e declini, consacrazioni e precipizi, senza però mai raccogliere i frutti che il suo straordinario talento gli avrebbe permesso di fare. Oggi tutto questo a Ciocci interessa fino a un certo punto, perché la partita più importante lui l’ha vinta, quella contro la morte.
Negli anni Ottanta nelle giovanili
dell’Inter spiccava il nome di Massimo Ciocci. Centravanti rapido ed
opportunista prometteva bene nei campi da gioco, segnando tanti gol ma non
aveva voglia di andare a scuola. La dirigenza per evitare che si trastullasse
nei bar attorno a San Babila, lo voleva ogni mattina in sede dandogli in mano
pacchi e buste da consegnare in giro per la città. Non poteva usare il motorino,
troppo rischioso e si muoveva con i mezzi pubblici. Nasceva così il suo primo
soprannome: Il Pony Express del Gol. I pony, postini privati in vespa,
rappresentavano una delle novità dell’epoca milanese di quegli anni.
Il ragazzo ne aveva di talento e nel 1986 vinse da
protagonista con la squadra Primavera il Torneo di Viareggio. Gli viene
affibbiato il suo secondo soprannome in
quel periodo delle giovanili: il “piccolo Buitre”, perché assomigliava
ad Emilio Butragueño, attaccante spagnolo del Real Madrid. Quell’anno arrivava
anche il primo assaggio di calcio professionistico, perché Mario Corso,
promosso in prima squadra dopo la cacciata di Castagner, fa esordire il suo ex
allievo in un Inter-Roma di Coppa Italia. L’anno dopo in panchina arriva
Giovanni Trapattoni, che rimase impressionato dalle doti del ragazzino e decise
di lanciarlo facendolo esordire in serie A contro il Napoli di Maradona che
stava per vincere il suo primo Scudetto. Non passava neanche un mese e arrivava
anche la prima rete ufficiale a San Siro contro la Fiorentina di Roberto Baggio
e Ciocci a venti dalla fine regala il successo ai suoi con un diagonale
mancino.
Trapattoni crede in lui, ma è convinto che il ragazzo
deve farsi le ossa e accumulare esperienza. Lo manda in prestito prima in serie
B al Padova, successivamente ad Ancona, dove esplode e sigla 18 reti,
guadagnandosi la chiamata dal Cesena in Serie A di Marcello Lippi, futuro
Campione del Mondo. È il 1990/91 e Ciocci sara' uno dei grandi protagonisti
della stagione, siglando 13 reti. Il
"Piccolo Avvoltoio" era pronto per il ritorno a Milano.
Ad attenderlo in nerazzurro però non c’era più il suo
mentore Giovanni Trapattoni, bensì Corrado Orrico, uomo rivelazione della Serie
B con la Lucchese. L’inizio sembra essere positivo, con Ciocci che alla prima
giornata salva l’Inter dal ko casalingo con il Foggia dei miracoli di Zeman. Ma
poche settimane dopo il ragazzo fallirà una colossale palla gol nel ritorno di
Coppa Uefa con il Boavista, un errore che costerà all’Inter il passaggio del
turno. In pochi se lo aspettano, ma è quello l’inizio della fine.
Riuscì a totalizzare 87 presenze con la maglia nerazzurra,
realizzando 10 reti. Fu frenato da diversi infortuni alle ginocchia. I tifosi
inizieranno a beccarlo accusandolo di allenarsi poco e male.
L’anno dopo sarà costretto a fare le valigie ed in provincia
Ciocci troverà la sua dimensione naturale, regalando buoni scampoli al Genoa e
al Padova in serie A, prima di iniziare a girovagare per i campi delle serie
inferiori fino al suo ritiro a 33 anni.
La carriera ha mantenuto meno di quanto promettesse, ha
avuto la chance della grande squadra e non l’ha sfruttata al meglio. Difficile
che a Milano ti ridiano la seconda possibilità. All’Inter deve comunque tanto.
I problemi sono altri, nel 2004 non stava bene, e dopo accertamenti ha scoperto
di avere un tumore all’intestino. Operazione e cicli di chemioterapia. Ha avuto
paura ed ha riflettuto.
Come capita a tutti
coloro che sono stati colpiti dal cancro, l’esistenza di Ciocci è scandita dai
controlli clinici. Quando seppe della diagnosi, Massimo voleva sapere dai
medici se potesse esserci una relazione tra il tumore e la sua attività
sportiva. Risposta negativa, certe malattie possono colpire tutti. Massimo non
si è mai dopato. Non consapevolmente perchè su certe cose che gli
somministravano lui non sapeva, era giovane e si fidava dei medici.
Ciocci è ritornato a casa, nelle Marche
ha aperto una tabaccheria e fa l’allenatore. Il Pony Express del goal ha vissuto esplosioni e declini, consacrazioni e precipizi, senza però mai raccogliere i frutti che il suo straordinario talento gli avrebbe permesso di fare. Oggi tutto questo a Ciocci interessa fino a un certo punto, perché la partita più importante lui l’ha vinta, quella contro la morte.
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