Un viaggio avventuroso nella
remota Patagonia, un documentario dalle grandi emozioni diventato un piccolo
gioiello per gli amanti del Dio Pallone, che parla dei Mondiali del 1942 che sfortunatamente
non figurano in nessun almanacco calcistico. Una commistione tra leggenda
e realtà. Un mosaico che unisce più elementi: dal calcio giocato e raccontato che
ha esaltato i nostri ricordi calcistici d’infanzia, con tutte le mitologie e gli
stereotipi di questo sport, usato come scenario principale in un contesto
storico-realistico come quello della Seconda Guerra Mondiale, all'emigrazione europea in Patagonia.
Il film ricostruisce le fantomatiche
vicende dei Mondiali di Calcio di Patagonia del 1942, mai riconosciuti dalla FIFA e
rimasti per decenni avvolti nel mistero senza che se ne conoscesse il
vincitore. Una macchina da presa modello anni '40 ha conservato per quasi
sessant'anni un documento di inestimabile valore storico: le riprese della
finale del Campionato del Mondo giocato in Patagonia nel 1942, a migliaia
di chilometri di distanza da un'Europa impegnata a fronteggiare le minaccie di
Hitler e degli altri leader totalitaristi dell’epoca. Una tappa nella storia
del pallone diventata una leggenda anche a causa dell’alluvione che si abbatté
sulla Patagonia il giorno della finale (il 19 dicembre del '42), provocando il
crollo dello stadio i cui resti sono ancora oggi sommersi dall'acqua.
Più che un semplice documentario
sportivo, il film di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni, già autori di Rimet - L'incredibile storia della Coppa del Mondo (2010), è un racconto
corale condotto nello stile di un documentario classico, un viaggio
entusiasmante nel cuore della remota Patagonia di ieri e di oggi che svela un
sentimento agonistico genuino e patriottico ormai scomparso nel mondo del
calcio globalizzato e mercificato di oggi.
Partendo da quella suggestione e trattandola
come materia storica, il film dei due registi ricostruisce alcune pagine mancanti delle cronache pallonare, prendendo la
finzione e dandole forma di realtà.
Per far questo ottiene la
complicità di grandi nomi del calcio, come Roberto Baggio, Gary Lineker, Jorge
Valdano e il presidente onorario della Fifa Joao Havelange, di storici come
Pierre Lanfranchi e Osvaldo Bayer, di giornalisti sportivi come Darwin Pastorin
o l'argentino Sergio Levinsky, nel ruolo di investigatore alla ricerca della verità del mondiale scomparso.
Il campionato fu organizzato
grazie all'appassionato impegno del Conte Vladimir Otz, di origini balcaniche, stravagante e
visionario mecenate illuminista, animato dallo spirito di Voltaire e
dall’ostinazione di Don Chisciotte. Emigrato in
Argentina negli anni '30, amante del calcio e accanito collezionista, Ministro
del IV Re di Patagonia in esilio a Parigi e sedicente amico personale del fondatore
della Fifa Jules Rimet, decise di organizzare a tutti i costi quei Mondiali di
calcio che la guerra in corso fece saltare per due edizioni.
La storia si apre con il
ritrovamento di uno scheletro umano con la macchina da presa negli scavi
paleontologici di Villa El Chocon, nella Patagonia Argentina. Le indagini
svelano che i resti umani appartengono a Guillermo Sandrini, cineoperatore
argentino di provincia di origini italiane, ex fotografo di matrimoni ed inventore perditempo, ingaggiato per filmare i Mondiali in modo
memorabile e rivoluzionario sulle orme delle sperimentazioni formali e
tecnologiche di Leni Riefenstahl, regista del regime nazista che con il suo film
sui Giochi Olimpici di Berlino del '36 aveva già rivoluzionato il modo di
ritrarre la plasticità del gesto sportivo (si dice avesse rifiutato
l'incarico). La bobina contenuta nella macchina da presa di Sandrini promette
di svelare la verità sul risultato della finale del Mundial dimenticato.
Il più esperto ricercatore sul
tema, il giornalista argentino Sergio Levinsky fa appunto da guida in
un'inchiesta che attraversa l'America Latina e l'Europa, fino agli archivi di
Cinecittà Luce di Roma dove sono stati trovati alcune delle sequenze più
significative della delicata ricostruzione. Le suggestioni di immagini
d'archivio inedite e spettacolari e di una ricca documentazione (fotografie,
giornali locali, lettere, diari privati) si alternano a numerose interviste a
pochi appassionati testimoni diretti e a personalità della cultura e del
calcio.
Mentre il mondo era falcidiato dai conflitti bellici della Seconda Guerra Mondiale, dodici squadre rappresentative di
altrettanti Paesi che nel leggendario campionato del 1942, alle squadre
ufficiali dei Paesi in competizione si sostituirono altrettante formazioni
composte da pochi giocatori professionisti mescolati a migranti di mezzo mondo.
Operai, minatori, ingegneri, militari, pescatori, ginnasti, esiliati,
rivoluzionari in fuga, soldati nazisti e indios mapuches. Molti di loro giunti
in America del Sud per costruire un'importante diga in mezzo al deserto. Come racconta
Antonio Battilocchi, a sua volta immigrato e giocatore della
"Nazionale" azzurra del 1942, al fianco di due soli professionisti
ingaggiati con una colletta dalla comunità italiana: Puricelli e Bernini. Le nazioni parteciparono con sentimento sportivo difeso con orgoglio patriottico si sfidarono per conquistare la Coppa Rimet, riapparsa
in quella competizione.
Chi vinse il misterioso Mundial? Perchè da
allora non se n'è più parlato?
Il Mundial dimenticato è un viaggio indietro nel tempo, pieno di fascino e curiosità. Sport, amore e guerra, cinema ed invenzione, natura e scienza fanno del Il mundial dimenticato un documentario memorabile al confine con il surreale e la leggenda. L'anima del calcio romantico si beffa del pallone ufficiale asservito alla propaganda dei regimi totalitari dei primi novecento e consuma la sua vendetta sul mondo calcistico mercificato degli anni duemila.
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